Robot, androidi e
macchinari che simulano il comportamento umano sono presenze costanti nei
racconti di fantascienza e nei film ambientati del futuro.
Sembra quasi qualcosa di
scontato pensare che nei secoli a venire il mondo sarà caratterizzato dalla
presenza di automi intelligenti, dotati di una propria coscienza ed autonomia,
un po’ come il Sig. Data di Star Treck. Non mancano nemmeno i racconti in cui i
robot assumono aspetti negativi, ad imitazione ed esagerazione della malvagità
umana, fino a divenire degli spietati assassini e dominatori della terra, a
scapito naturalmente della nostra specie.
Forse ci stiamo anche avvicinando a
tutto questo, anche se gradualmente.
Comunque sia non si deve pensare che l’idea
di una macchina umanoide intelligente sia così recente. Già durante il 1700
infatti scienziati, pensatori e inventori all'vanguardia speculavano sulla
loro possibile costruzione. E a volte ci provavano anche.
In quel tempo, infatti, le
scienze erano in pieno fermento, in tutti i campi. Sembrava che il progresso
scientifico fosse inarrestabile. Nelle botteghe degli esperti in meccanica e degli
orologiai comparivano congegni meccanici ad ingranaggi sempre più complessi: si
trattava di orologi che potevano rappresentare animali, esseri umani oppure
soggetti religiosi, tutti dotati di un certo movimento. Il più delle volte si
trattava di movimenti rigidi e limitati, ma non mancavano opere più elaborate,
in grado di imitare sorprendentemente un movimento naturale.
Molti ritenevano che si
trattasse di oggetti fondamentalmente inutili, privi di un loro scopo pratico.
Si trattava invece di vere opere di ingegno, che dimostravano fin dove potevano
spingersi la mente e le abilità umane, pur senza l’aiuto di motori elettrici,
circuiti, computer e programmi informatici.
La nascita di queste
macchine conobbe una vera esplosione, e tra gli inventori nacque una forte
competizione. Una competizione che aveva come obiettivo anche creare stupore,
meraviglia, intrattenimento. Furono allestiti veri spettacoli, spesso anche
molto costosi, in cui si esibivano gli automi, divertendo il pubblico con
movimenti che fino a poco prima erano ritenuti impensabili. Compivano persino
azioni complesse come suonare disegnare, scrivere e suonare il flauto.
Nelle cronache irruppe
però un vero e proprio gioiello della tecnologia e dell’ingegno. Almeno all’apparenza.
Si trattava del “Turco” o del “Giocatore di Scacchi” dell’ingegnere Wolfgang
Von Kempelen (n. 1734, m. 1784) costruito per dilettare l’imperatrice Maria
Teresa d’Austria, che come molti nobili dell’epoca era appassionata di magia,
illusionismo, pratiche esotiche ed esoteriche.
Il consigliere dell’imperatrice
si mise all’opera e dopo parecchi mesi di duro di lavoro, nel 1770, si dichiarò
pronto a mostrare la sua invenzione alla regina e al mondo. il pubblico si
trovò davanti un pupazzo montato su una cassa di legno, ove era posta una
scacchiera. L’automa era vestito con abiti orientaleggianti, proprio per suggerire
agli spettatori un’atmosferica magica.
Il pupazzo era capace giocare
a scacchi. Non solo, ma era talmente abile ed esperto da poter sconfiggere con
favcilità i più importanti e bravi giocatori della corte. Sarebbe stato,
insomma, qualcosa di ben paragonabile ai nostri software che riescono a battere
persino i campioni.
Il fantoccio e il suo
autore girarono per l’Europa, e si dice che la macchina sconfisse persino
Napoleone Bonaparte.
Cominciavano così ad
essere molti gli sconfitti, ma erano molti anche quelli che avevano qualche
dubbio sulla genuinità dell’operazione. Chi poté esaminare il “Turco” non fu
però in grado di rinvenire alcun trucco.
Com’era prevedibile, si
diffusero allora voci inquietanti, secondo le quali il macchinario o
addirittura lo stesso autore sarebbero stati posseduti dal diavolo o da uno
spirito malvagio.
Dopo la morte del suo
inventore, la macchina passò di mano in mano, finché fu venduta al Principe
Eugenio de Beauharnais, per una somma molto elevata. Sfortunatamente, il
principe rimase assai deluso del funzionamento dell’automa e così pretese tutti
i suoi soldi indietro.
“Il giocatore di scacchi”
in realtà non era affatto una meravigliosa opera tecnologica: era infatti un
pupazzo mosso da un uomo esilissimo e al tempo stesso abilissimo nel gioco degli
scacchi, che si nascondeva sotto alla scacchiera e poteva seguire lo
spostamento delle pedine grazie ad alcuni magneti posizionati in corrispondenza
della scacchiera all’interno del cassone, e muovendo il braccio del fantoccio.
L’automa passò di nuovo
di mano in mano e giunse negli Stati Uniti, ma anche qui l’inganno fu scoperto.
Il Turco e il suo tranello furono smascherati davanti al grande pubblico nel
1836, quando Edgar Allan Poe scrisse un articolo in cui svelava il trucco.
Il Turco, “esibitosi” per
qualche tempo a Cuba, tornò negli USA, e venne esposto in un museo a
Philadelfia, dove purtroppo però fu bruciato nel grande incendio del 1854.
Sebbene si trattasse di
una truffa, è un peccato che “Il Turco” sia andato perduto. Non era un vero
robot, ma pur trattandosi di un inganno a modo suo ha fatto la storia della
robotica e di quei tentativi – veri o falsi – che hanno portato l’uomo a
sognare un mondo futuro fatto di macchine umanoidi.